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STORIE DI DIPENDENZA IN FAMIGLIA: appunti di esperienze cliniche

10/8/2015

 
“Siamo qui per nostro figlio”. Con queste parole spesso i genitori si rivolgono ai professionisti chiedendo di aiutare il proprio figlio ad uscire dal circolo vizioso in cui le dipendenze lo tengono imbrigliato. Tuttavia, i ragazzi così “segnalati” non sono sempre disposti ad intraprendere un percorso terapeutico. In questi casi i famigliari restano gli unici interlocutori con cui è possibile interfacciarsi.
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Ecco dunque che la richiesta iniziale si trasforma in un bisogno di essere aiutati ad aiutare il proprio figlio. Ciò implica un coinvolgimento continuativo nella difficoltà del ragazzo, un disagio di lunga durata rispetto al quale i genitori speravano forse di trovare un sollievo con la “presa in carico” da parte di un professionista. Le testimonianze di molti genitori rivelano infatti come siano spesso fallimentari i tentativi di prendere le distanze dalla dipendenza del figlio che, nel suo manifestarsi, pone nuove richieste all’equilibrio famigliare.
Ma cosa sta cercando di comunicare il ragazzo attraverso i suoi comportamenti?
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Sono sempre più diffuse tra i giovani le così dette “dipendenze senza sostanza”, tra queste particolare attenzione merita la “dipendenza da schermo” così definita in quanto i ragazzi sembrano completamente assorbiti dai dispositivi elettronici (soprattutto dal computer) al punto che i loro ritmi quotidiani risultano alterati. Le relazioni con i coetanei e il rendimento scolastico sono forse tra primi ambiti a risentirne ma il funzionamento e le dinamiche famigliari non ne sono di certo incolumi. Il computer, ad esempio, diventa “l’interlocutore” principale anche durante i pasti che non vengono più condivisi con il resto della famiglia. Probabilmente queste dinamiche non sono così distanti nel caso di altri tipi di dipendenza con il risultato che il dialogo genitori-figli e la comprensione reciproca ne escono spesso compromessi.

Come si declina l’intervento di un professionista in situazioni simili? 
Questo può assumere sfumature diverse ma sinergiche nel percorso di accompagnamento della famiglia:
  • In primis si tratta di esplorare come si colloca la dipendenza del ragazzo all'interno del sistema famigliare in questione. Al di là degli aspetti di comunanza, infatti, ogni storia di “dipendenza” è a sé e come tale merita un’attenzione specifica. I colloqui terapeutici rappresentano un’occasione per sperimentare nuove modalità relazionali in linea con le possibilità di movimento di quel sistema. Si spiega l’importanza di coinvolgere tutti i componenti della famiglia laddove anche il ragazzo mostri la propria disponibilità in tal senso. In molti casi tuttavia sembra più facile ottenere la sua collaborazione prevendendo colloqui separati dai genitori e concordando preventivamente occasioni di incontri condivisi. A nostro avviso, è fondamentale che il ragazzo senta di poter disporre di uno spazio personale “privato” per parlare di sé. Ciò è possibile laddove si senta tutelato da una relazione di fiducia creatasi con un proprio terapeuta di riferimento.
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  • Le preoccupazioni dei genitori talvolta vengono ulteriormente esacerbate da uno smarrimento di fronte alle scelte del figlio: “dove arriverà se andrà avanti di questo passo?” La grande quantità di informazioni disponibili sul web (a cui spesso ci appelliamo) rischiano di alimentare la confusione e le “false credenze” anziché fornire una bussola per orientarsi. Ecco dunque che il ruolo del professionista in circostanze simili consiste anche nel far luce sulle possibili evoluzioni di un percorso di dipendenza e, non ultimo, sulle possibilità di intervento offerte dal territorio.
  • Vedere un figlio in difficoltà può portare con sé vissuti di colpa e talvolta di vergogna: “Dove abbiamo sbagliato?”, “Cosa penseranno gli altri?”, queste le domande che tormentano molti genitori. Contrasti all’interno della coppia possono talvolta insorgere di fronte a simili preoccupazioni, rievocando scelte educative discordanti rispetto al figlio. Ritengo che elaborare tali vissuti sia fondamentale quanto aiutare il ragazzo. Di fronte ad un figlio con problemi di dipendenza il rischio è infatti quello di lavorare solo con la coppia genitoriale, perdendo di vista i due partner con i loro bisogni e la propria storia coniugale. Il confronto con il terapeuta (e magari con altre famiglie che condividono esperienze simili) li aiuterà a non sentirsi più soli nell’affrontare i momenti di difficoltà e il lavoro con la coppia potrà agire di riflesso sull'intero clima famigliare.
Per concludere, proprio dalla nostra esperienza clinica come équipe di “Indipendenze”, è emersa l’importanza di una presa in carico a 360 gradi dei pazienti. Ciò implica un’attenzione particolare rivolta a quanti circondano la persona (e soprattutto ai famigliari), scelta questa che guida quotidianamente il nostro lavoro nell’ambito delle dipendenze. 

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