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SI È DA POCO CONCLUSO IL NOSTRO CICLO DI INCONTRI SUL WEB

9/6/2017

 

(in fondo all'articolo il pdf: Internet, CONSIGLI PER GENITORI)


A maggio si è concluso il nostro ciclo di incontri e laboratori interattivi dedicato al tema del Web, intitolato CONNESSIONI:  DOVE “VIRTUALE” E “REALE” SI INCONTRANO. Per chi si fosse perso questi appuntamenti, li ripercorriamo qui brevemente.

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C’è stata grande affluenza al convegno del 20 aprile "Le ludopatie (gioco d'azzardo e dipendenza dai giochi on-line): un fenomeno che non possiamo più trascurare" organizzato dall'Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona. Il dott. Giuseppe Cuoghi di Indipendenze ha parlato del fenomeno degli Hikikomori, ragazzi che si isolano socialmente spesso sviluppando dipendenza da Internet, e dei percorsi che il gruppo Indipendenze propone per aiutare loro e le loro famiglie.
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Ringraziamo le avvocate Sara Gini e Anna Tantini per la disponibilità e per l’interessantissima serata di formazione “Navigare sicuri: come affrontare i rischi del web” che hanno tenuto il 27 aprile. L’utilizzo del web ha permesso grandi possibilità di comunicazione ma al contempo ha aumentato il rischio di subire e commettere reati. Con le nuove tecnologie si sono manifestati, infatti, nuovi reati che il nostro legislatore ha recentemente normato ed è importante che si conoscano per poter utilizzare con maggiore senso di responsabilità i mezzi tecnologici.
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Le avvocate ci hanno quindi spiegato i rischi e le conseguenze penali e civili a cui si può andare incontro attuando certi comportamenti on-line, che possono vedere coinvolti maggiorenni tanto quanto minorenni. Anche i minorenni, infatti, sono passibili di responsabilità penale e possono subire un procedimento penale davanti al Tribunale per i Minorenni che prevede nuovi strumenti a disposizione dei Giudici minorili.
Il 5 maggio la dott.ssa Diani e il dott. Zagni di Indipendenze, hanno proposto il laboratorio “Game Over: esperienza di gioco virtuale senza mezzi tecnologici”. Con loro abbiamo dato uno sguardo all’importanza del gioco, alle sue trasformazioni nella società odierna, fino alla più recente forma di gioco on-line. Anche per chi non ha mai acceso un computer o non ha mai provato queste nuove forme di gioco, è stato interessante conoscere e comprendere i meccanismi che spingono tanti ragazzi e adulti a trascorrere ore ed ore davanti a uno schermo. Abbiamo giocato, riso, discusso e ascoltato... C’è stato un confronto, anche tra diverse generazioni, per cercare un nuovo significato da attribuire al termine "gioco", muovendosi tra somiglianze e differenze del mondo reale e virtuale.
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L’ultimo incontro del ciclo è stato il laboratorio interattivo-esperienziale “Vivere Online: non solo post ma un posto da abitare” tenuto da due colleghi psicologi di Indipendenze: la dott.ssa Poiesi e il dott. Simeone. Sono state approfondite le potenzialità e i rischi delle nuove tecnologie per la vita di ciascuno di noi e si è cercato di costruire insieme nuove modalità della propria presenza on-line. Una serata ricca di condivisioni e confronti che ha appassionato i partecipanti.

Ringraziamo per l'attiva presenza e ci auguriamo che sia stata un’esperienza di connessioni positive e interessanti per tutti!

Nel corso della nostra attività con le dipendenze da Internet abbiamo cercato di dare una risposta alle molte domande che spesso ci fanno i genitori preoccupati per le condotte online dei loro figli. Abbiamo così pensato di mettere le nostre risposte in questo opuscolo che potete ricevere gratuitamente via email.
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    Inviatemi l'opuscolo "Internet: rischi e opportunità"

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Cosa si può fare per gli Hikikomori?

11/4/2017

 
Di Hikikomori abbiamo già parlato qui, della grave situazione di ritiro sociale in cui si trovano milioni di adolescenti in Giappone, ma verosimilmente alcune migliaia anche in Italia. Se ne parla spesso come se fosse una terribile epidemia contagiosa.
Ma l’Hikikomori non è una malattia, anche se può produrre grave disagio negli adolescenti e nelle loro famiglie.
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Per poter rispondere Alla domanda “cosa è possibile fare per migliorare queste situazioni?”, mancano invece ancora parecchi pezzi. Un po’ perché la sindrome Hikikomori trova la sua origine in un paese geograficamente e culturalmente lontano, come il Giappone (non c’è ancora un corrispettivo europeo di questa problematica a cui diamo il nome di Ritiro Sociale Acuto). Un po’ perchè i primi casi sono arrivati inaspettatamente anche da noi, e sono stati confusi con tante altre cose. Uno dei punti di maggior confusione riguarda, ad esempio, quale ruolo svolga in questo estremo comportamento di chiusura, la dipendenza da Internet (per cui spesso ci viene chiesto aiuto): l’uso spesso assiduo della rete è da ritenersi all’origine del problema o piuttosto una “sorta di terapia maldestra” per fronteggiarlo?
Una cosa è certa agli occhi di noi operatori: il paziente Hikikomori non sente di aver bisogno e non si aspetta aiuto da nessuno. Egli oppone un rifiuto ad ogni tentativo di contatto, rendendo improponibile qualsiasi terapia che non sia adattabile alle nuove esigenze. Chi arriva ai servizi e chiede aiuto non sono i giovani auto segregati, ma i loro genitori che, spesso dopo mesi o anni di immobilità in queste situazioni, riportano a loro volta serie difficoltà. I genitori si sentono impotenti di fronte al vuoto relazionale in cui approdano con i figli che, quasi sempre, nel frattempo hanno già rinunciato anche alla scuola e agli amici. Di frequente arrivano dopo aver già compiuto svariati tentativi per cambiare le cose (cambiare scuola, staccare internet), ma il più delle volte con scarso successo. Spesso chiedono aiuto seppur timorosi che la situazione possa modificarsi in peggio: da un lato preferiscono infatti  sapere il figlio a casa  davanti al computer, piuttosto che immaginarlo “fuori a drogarsi con gli amici”.
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Fornire un supporto professionale alle famiglie diventa dunque essenziale, sia perchè i genitori svolgono un importante ruolo di interfaccia con gli operatori, sia perché spesso si trovano ad affrontare da soli grandi momenti di difficoltà (come i frequenti accessi di aggressività dei ragazzi). Secondo alcuni studi la quantità di stress e di ansia nei membri di queste famiglie risulta essere molto maggiore che nella popolazione generale. L’equilibrio della famiglia, (vittima della situazione ma talvolta con aspetti disfunzionali pregressi), è strettamente legato al disagio dei figli. Il problema, infatti, si estende in breve tempo dall’isolamento dei ragazzi Hikikomori, alla perdita delle relazioni interne alla famiglia. Un trattamento “tradizionale”, basato sul presupposto che il paziente si decida ad uscire di casa per raggiungere lo studio del terapeuta, sarebbe dunque destinato a fallimento e frustrazione. La nostra esperienza ci suggerisce, al contrario, la necessità di coinvolgere i genitori e il contesto (sociale e virtuale) dei ragazzi per poter essere loro d’aiuto.

Alla luce di queste esigenze, il team Indipendenze ha ideato diversi percorsi per affrontare il problema nel modo più comprensivo possibile. Oltre ad un sostegno di coppia/ individuale per genitori, abbiamo avviato supporti domiciliari, con operatori appositamente formati, per cercare di costruire con il ragazzo una relazione che non sia solo “virtuale”.
Da poco è stato inoltre attivato un gruppo di supporto rivolto ai genitori di ragazzi che presentano questa problematicità (qui la locandina). E’ possibile partecipare al gruppo, previo colloquio conoscitivo, contattandoci al numero 345/3757946.

Supporto genitori Hikikomori
Il dott. Giuseppe Cuoghi parlerà di Hikikomori nel convegno che si terrà in sala Marani a Verona il giorno 20 aprile dal titolo “Le ludopatie (gioco d'azzardo e dipendenza dai giochi online): un fenomeno che non possiamo più trascurare” (qui la locandina)".
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Immagine di proprietà del Dr. Marco Crepaldi - HikikomoriItalia.it

  • C. Ricci et al. Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, ed. Francoangeli, 2008
  • Watts J, Public health experts concerned about “hikikomori”: Lancet, 359, 1131, 2002.
  • Kondo, N. Possible approach to prevention and early intervention in adolescent social withdrawal: Japanese Society of Social Psychiatry 10: 193-199, 2001.
  • Kobayashi S, Yoshida K, Noguchi H, Tsuchiya T, and Ito J. Research for Parents of Children with “Social Withdrawal: Seishin Igaku, 45(7), 749-756, 2003.
  • Narabayashi, R. Helping Families with “Hikikomori”: Seishin Igaku 45(3), 221-227
  • Funakoshi A. Study of Parental Difficulties in Families With Hikikomori Syndrome Children (Social Withdrawal), 2011

Dipendenza da internet: solitarie connessioni che sconnettono dalla vita

4/1/2017

 
Pubblichiamo un bell'articolo della collega dott.ssa Laura Falzone. Qui trovate il post originale

Avete già visto il nuovo video di Moby "Are you lost in the world like me?"

Paura e sgomento in una dimensione popolata da uomini che, come zombie, condividono spazi ma non interagiscono, non si scambiano sguardi, non si parlano. La percezione è di totale irrealtà. Succedono cose, anche terribili, in questa dimensione: violenze fisiche e psichiche, dirette all’altro o a sé. Il tutto in bianco e nero.

Ma è proprio così: la realtà come appare dietro lo schermo dello smartphone, o del pc, ci appare in bianco e nero, cioè svuotata di ogni dimensione emotiva e simbolica. Gli altri sono oggetti, comparse, privi di spessore, tanto che ci permettiamo di dire e fare di loro qualsiasi cosa. L’altro, dietro lo schermo, diventa oggetto di consumo: posso usarlo per guadagnare “like”, per insultarlo, per farmi bello, per sentirmi migliore svilendo lui. Il prezzo non conta.

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Cos’è questo effetto anestesia?

E soprattutto perché non riusciamo a farne a meno?

La dipendenza da internet funziona come la dipendenza da sostanze. La droga è utilizzata come oggetto per riempire il vuoto che fa parte di noi, una sorta di auto-medicamento, un rifugio. Il godimento del drogato è un godimento potremmo definire “autistico” nel senso che è chiuso in se stesso, è un godimento solitario che rifiuta il limite, e rifiuta soprattutto l’incontro con l’altro.

Ecco cosa hanno in comune le due dipendenze. Anche nella dipendenza da internet abbiamo a che fare con un godimento autistico, solitario, fuori legame. L’altro, “l’amico” (pensate ai social network) non ha peso.

Facebook è una forma di legame sociale basato sull’uso e consumo di “relazioni”. Desideriamo quel contatto (magari con qualcuno che incontrando per strada neppure saluteremmo..), allora parte la richiesta di accettare la nostra amicizia; iniziano così una serie di scambi, “condivido”, “mi piace” etc.. Qualora non desideriamo più quella persona ci basterà cliccare su “elimina contatto”. Non vi è in gioco nulla di personale. Ci sei, non ci sei più. Nessuna responsabilità.

Anche la paura del rifiuto dell’altro, giocata fuori dalla realtà, è più leggera. So che ora tra i teenagers ora ci si “corteggia” così: ti invio un messaggio su fb.. se rispondi bene, se no.. pace! L’incontro con l’altro reale è così evitato. Io scelgo solo la parte di soddisfazione che mi spetta, e non mi assumo il rischio del dolore che l’incontro con l’altro presuppone. Ed evito l’incontro con il limite che la sua presenza impone. Quando tu sei con me, io non posso fare tutto, dire tutto...


Il gruppo Indipendenze Verona propone percorsi specifici sulla dipendenza da internet ed eventi formativi sull’argomento.

Vi invitiamo alla serata di approfondimento sulle potenzialità e i rischi delle nuove tecnologie “Vivere online: farsi inghiottire dalla rete o costruire reti?” che si terrà a Verona, Borgo Roma, martedì 28 febbraio alle 20,30.

LOCANDINA E ISCRIZIONI

Chi sono gli Hikikomori?

4/10/2015

 
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L’etimologia del termine Hikikomori (da hiku "tirare" e komoru "ritirarsi") rimanda ad uno stato di isolamento, di confinamento e viene adottato in Giappone a partire dagli anni Ottanta per indicare quelle persone che scelgono di ritirarsi dalla vita sociale. In origine il fenomeno sembra riguardare adolescenti che rifiutano di lasciare la propria abitazione per più di sei mesi con l’obiettivo di opporsi ad una cultura tradizionale giapponese molto richiedente. E’ stato identificato come “disturbo” nel momento in cui questo stile di vita ha iniziato ad essere condiviso da più giovani, interessando l’1% della popolazione Giapponese (ossia circa un milione di persone). 

Questi ragazzi sono inoltre accomunati da ritmi sonno-veglia completamente invertiti cui segue spesso uno stato di letargia, umore depresso, talvolta comportamenti ossessivo-compulsivi e manie di persecuzione. Con lo sviluppo tecnologico, i giovani in questione si ritrovano a dedicare la maggior parte delle loro giornate ai videogiochi o alla navigazione in rete che finiscono per sostituire tutte le attività quotidiane. ​Ecco dunque che le relazioni vis à vis con i coetanei vengono rimpiazzate da incontri con amici virtuali che, a modo loro, tengono compagnia. Si tratterebbe dunque di una scelta “gruppale” piuttosto che “individuale”, se confrontata con l’Hikikomori delle origini che trascorreva le sue giornate leggendo libri o girovagando per la stanza in completa solitudine.  
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​I contatti in rete hanno invece il duplice vantaggio di non farci sentire soli, evitandoci al tempo stesso tutte le difficoltà dell’incontro diretto. Siamo dunque di fronte ad un “fenomeno” che, per quanto nuovo, nel corso degli anni ha già incontrato alcuni cambiamenti. 
​Questa considerazione esorta a non accontentarci di quello che già “sappiamo” poiché la storia di ogni ragazzo può dirci qualcosa in più rispetto al suo “Hikikomori”. E’ un invito a non fermarci all’etichetta, ma piuttosto ad ascoltare la nostra curiosità e il nostro interesse nei confronti dell’altro per raggiungere una conoscenza più profonda della persona. L’équipe di Indipendenze condivide il presupposto che sia fondamentale comprendere quale sofferenza si celi dietro il disagio manifestato dal ragazzo al fine di trovare per lui e con lui una nuova strada da percorrere. Come ci spieghiamo la scelta dell’isolamento quale soluzione eletta ad esprimere il proprio stato di impasse? Cosa vuole comunicare il ragazzo attraverso questa scelta?
In Italia le prime diagnosi di Hikikomori risalgono al 2007, oggi le stime parlano di 20/30 mila casi. I ragazzini interessati sembrano appunto accomunati da un’estrema dedizione per il computer che in alcuni casi si esprime in una difficoltà ad uscire dalla propria stanza anche solo per lavarsi o per mangiare. In situazioni simili, il rischio è che i genitori diventino inconsapevolmente complici, facendo trovare ad esempio i pasti all’entrata della camera, purché il figlio non si trascuri fino ad arrivare al digiuno. Il “nemico computer” tanto dannoso può diventare tuttavia anche una risorsa terapeutica se lo pensiamo come un’occasione per mettersi in contatto con questi ragazzi che chiudono il mondo fuori dalla propria stanza ma ci fanno vedere che una feritoia, per quanto piccola, rimane.
Per concludere vorrei lasciarvi con una domanda: siamo proprio sicuri si tratti dello stesso fenomeno Giapponese che oggi sta “dilagando” anche in Europa? Alcuni studi condotti parlano di un sentimento di vergogna che sembra accomunare questi giovani, vergogna dovuta ad una difficoltà nel rispondere alle aspettative sociali e dunque ad una distanza osservata tra la realtà idealizzata e quella osservata, tra quello che si è e quello che si vorrebbe diventare. Attribuire agli altri aspettative nei propri confronti e nutrire un bisogno di rispondervi con la sensazione di non riuscirvi è un tema caldo nel mondo giovanile e, per questi ragazzi, sembra diventare motivo di disagio. Credo però che tenere in mente la mia domanda, volutamente un po’ provocatoria, possa aiutare a spingersi oltre le generalizzazioni e gli elementi di comunanza osservati per esplorare quegli aspetti che, nel fare la differenza, ci avvicinano in modo unico alla sofferenza della persona. 

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