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CI SI PUÒ SENTIRE DIPENDENTI DALLA PATOLOGIA?

8/10/2016

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Quando un’immagine può aiutare a capire…

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Oggi ho ricevuto un regalo.
Ero in ambulatorio e stavo parlando con una  giovane donna che da più di dieci anni convive con una diagnosi di Anoressia Nervosa. Come in molte altre occasioni stavamo discutendo assieme di cosa le impedisca di provare a cambiare una serie di comportamenti che lei stessa definisce e riconosce come controproducenti e patologici. Nel raccontarmi la sua settimana e l’alternanza di pasti e digiuni che l’hanno caratterizzata, mi ha spiegato come quei digiuni siano il risultato del “sentire di aver già mangiato abbastanza nei giorni precedenti”. Date le quantità fortemente limitate di cui si stava parlando mi è sorto spontaneo farle una domanda “Abbastanza per chi? Chi decide quanto puoi permetterti di mangiare?"
Da subito non è stata in grado di rispondermi, ha iniziato a fissare il muro dietro di me restando in silenzio e ha ripetuto lentamente la mia domanda con il tono dubbioso e stupito di chi cerca una risposta apparentemente ovvia ma difficile da dare. “Abbastanza per chi? Chi decide quanto posso mangiare….boh, vediamo come te lo posso spiegare….” . Ed è qui che ha iniziato ad impacchettare il suo regalo.

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“Vedi, è come se quel giorno di tanti anni fa io avessi aperto la porta di casa e avessi trovato sullo zerbino una bestia strana. Un animale di non so quale razza, bruttino, solo, fermo lì sulla porta in attesa di una mia risposta. Io ero incuriosita, un po’ stupita e allora l’ho lasciato entrare… Anche perché come fai altrimenti? Mica puoi lasciare un bestia fuori, no? Bene. Nel tempo, quella stessa bestia si è seduta accanto a me, ha iniziato a dividere con me il tempo, gli spazi e il cibo e non se n’è più andata, prendendo via via il potere sulla casa. A volte sono risuscita a tenerla un po’ più sotto controllo ma non appena mollavo un po’ la presa lei tendeva a prendersi tutto il braccio e a decidere su tutto e tutti. Ho provato a metterla fuori dalla porta sai!? E una volta ci sono pure riuscita! Ma il fatto è che lei è rimasta lì, a grattare sulla porta, a ricordarmi che io sono l’unica che sa come gestirla e che quella è anche la sua tana! L’ha vissuta, ci è cresciuta assieme a me, rendendola un “nostro” luogo dal quale io non ho il diritto di mandarla via! …e ha ragione, io non lo posso fare. Non ci riesco. Non lo so neanche immaginare come possa essere non sentirla più… Ed è così che io l’ho rifatta entrare. Ed è così che lo rifaccio ogni volta. Perché in fondo ha ragione, forse anche io ho bisogno di sentirla accanto…”

Questo piccolo racconto è uno dei tanti e preziosi esempi che si possono incontrare in un percorso di terapia che mostrano come le metafore e le immagini riescano a comunicare molto più delle semplici parole. Dietro quei “non posso, non riesco, non so immaginare…” può nascondersi un sentimento di interdipendenza che tiene legato il paziente alla sua patologia, esattamente come succede tra una persona e l’animale abbandonato di cui sceglie di prendersi cura. Anche se a volte è faticoso, difficile da gestire o doloroso, avere qualcuno (o qualcosa) di cui prendersi cura può rispondere ad altre necessità personali, con modalità tanto efficaci quanto difficili da identificare ed abbandonare. Spesso per chi sta accanto ad una persona con un Disturbo del Comportamento Alimentare sembra quasi impossibile capire e sentire davvero quello che accade tra la persona e i sintomi che riporta. Ed è proprio in questi casi che un immagine, un disegno o un racconto possono rivelare tutto quello che delle semplici risposte a domande dirette non saprebbero dire. Un’opera singola e irripetibile prodotta sotto dettatura del cuore.
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