“Non è che mi vuole mandare in comunità?”
“Di questo passo finirò in comunità, vero?”
“...Pensa anche lei che la situazione di Matteo si possa risolvere solo se va in comunità per almeno un annetto?”
È infatti è abbastanza diffusa l’idea che la comunità sia l’unica soluzione per risolvere un problema di dipendenza o lo spauracchio da evitare a tutti i costi.
Con questo post vorremmo inaugurare uno nuovo spazio nel nostro blog che abbiamo deciso di chiamare “l’intervista con l’esperto”: chiederemo oggi alla nostra collega la dott.ssa Francesca Distaso di rispondere alle nostre domande e di condurci all’interno del vasto mondo delle comunità terapeutiche.
Ciao a tutti, sono la Dott.ssa Distaso Francesca, psicologa, ho lavorato per 8 anni presso la Comunità Terapeutica “La Genovesa” di Verona dove ho iniziato come educatrice e poi ho ricoperto l’incarico di Responsabile di Comunità. Sto collaborando con il SerD di Verona all’interno del Progetto “Guardando Avanti” occupandomi di consulenze e formazione rivolte a genitori e insegnanti e svolgo colloqui di consulenza psicologica con famigliari e adolescenti al SerD. Attualmente svolgo anche la libera professione presso lo studio “Indipendenze” che ha sede a Verona e a Villafranca.
La Comunità Terapeutica è un luogo che accoglie e ha l’obiettivo di occuparsi a 360 gradi di persone che nella loro vita hanno vissuto problematiche legate all’uso e abuso di sostanze psicotrope come eroina, cocaina, alcol, farmaci e nuove droghe, oppure persone con problematiche legate al gioco d’azzardo. La Comunità è soprattutto un luogo che “cura” attraverso la relazione, l’incontro, il confronto di esperienze e il sostegno del gruppo di educatori e utenti.
In Comunità, a seconda della specificità della stessa, vengono accolte persone, donne e uomini, che in modo volontario o spinti dalle proprie famiglie o obbligati da provvedimenti legali quali gli arresti domiciliari o l’affidamento, decidono di aderire e svolgere un programma terapeutico di riabilitazione e di reinserimento sociale a fronte di problematiche comportamentali e/o collegate a dipendenze da uso di sostanze psicoattive o gioco d’azzardo.
Le Comunità per Minori si suddividono in diverse tipologie a seconda delle problematiche di cui si occupano. I minori possono essere accolti in Comunità Educative fino al compimento dei 18 anni di età in conseguenza a situazioni famigliari problematiche o che necessitano di supporto e aiuto.
Se il minore presenta invece un conclamato problema con l’uso di sostanze, esistono Comunità Terapeutiche per minori.
Ultimamente alcune Comunità per minori hanno aperto le porte all’accoglienza di minori con complesse problematiche comportamentali e prendono la denominazione di Comunità Terapeutiche Riabilitative.
In linea generale, ad una Comunità Terapeutica si accede previo contatto e presa in carico da parte del SerD (Servizio Dipendenze) territoriale o il Servizio di Alcologia Territoriale.
A volte, in presenza di pene da scontare, tramite la collaborazione tra carcere, U.E.P.E. (Ufficio di esecuzione penale esterna) e SerD possono accedere alla Comunità degli utenti in misura alternativa al carcere.
I Minori accedono alle Comunità su segnalazione e invio del Servizi Sociali del Comune e/o il Tribunale dei Minori soprattutto se in presenza dell’art.25 ossia il collocamento obbligatorio in Comunità.
In questi casi le rette del programma sono pagate dai servizi invianti.
Talvolta, per casi particolari alcune Comunità accettano anche invii privati. In questo caso le spese del programma terapeutico sono in carico all’utente e alla sua famiglia.
Generalmente, fatte eccezioni peculiari ad ogni comunità, il programma terapeutico di una Comunità Terapeutica per adulti tossico/alcoldipendenti, si compone di un periodo di circa 2 anni per i tossicodipendenti e 6 mesi circa per gli alcolisti. Queste tempistiche, però, sono decise, valutate e condivise tra equipe di educatori, servizi invianti e utenti.
Ogni comunità gestisce il rapporto con le famiglie in modo diverso. Alcune prevedono un lungo periodo di separazione dalle famiglie, altre no; altre ancora - e sono le più frequenti - dedicano alle famiglie un importante spazio con gruppi psicoeducativi per famigliari, incontri con gli psicologi e gli educatori che si occupano degli utenti e incontri di confronto tra famigliari e utenti.
La Comunità può essere per molti la prima scelta possibile, quella che si rende necessaria per grave compromissione dei rapporti famigliari, per una situazione di salute complessa, per un abuso grave di sostanze o come ultima spiaggia dopo che una persona ha tentato interventi si disintossicazione ambulatoriale non portati a termine. Alcune persone riescono invece a terminare percorsi di psicoterapia personale e famigliare oppure riescono a rimanere agganciati e seguiti da un intervento ambulatoriale.
La fine di un percorso terapeutico in una Comunità, non deve per forza coincidere con la chiusura di ogni rapporto tra la persona e la struttura. Anzi... Spesso viene consigliato ai pazienti di mantenere le relazioni di supporto e i riferimenti professionali ed affettivi che si sono costruiti e nutriti nel tempo del percorso. Mantenere contatti con gli educatori, lo psicologo, lo psichiatra attraverso incontri programmati in base alle proprie esigenze o la partecipazione a gruppi di supporto post-programma spesso organizzate dalla comunità stessa, l’adesione a gruppi di auto-aiuto proposti dal territorio, possono essere valide soluzioni per sentirsi più sicuri, protetti o semplicemente ancora facenti parte di una rete di relazioni. Se per qualche personale motivo tutto ciò non potesse essere scelto, l’ulteriore possibilità è quella di proseguire un percorso di psicoterapia individuale privata con professionisti competenti nell’ambito delle dipendenze.
La mia esperienza mi ha insegnato che al di là delle caratteristiche personali dell’utente, al di là della sostanza utilizzata e della struttura in cui si decide di entrare, ciò che davvero accoglie, cura e promuove il cambiamento è la relazione. Entrare in reciproche relazioni con utenti, educatori, professionisti coinvolti, famiglie, consiste nella presenza interessata e impegnata verso se stessi e gli altri, l’attenzione costante, l’impegno reciproco, il non giudizio di fronte alla ricaduta o all’inciampo, la capacità di perdonare e perdonarsi, la ricerca costante della verità declinata in etica del vivere, nella riappropriazione della propria vita.
Ringraziamo Francesca Distaso per aver chiarito i nostri dubbi e per la passione che ha nell’affrontare questa tematica. Dopo aver letto questa intervista, cosa ne pensate delle comunità terapeutiche: sono una possibile soluzione per risolvere un problema con le dipendenze o qualcosa da evitare assolutamente? |
Lo Staff di Indipendenze