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Come posso aiutare un famigliare che ha una dipendenza?

10/12/2015

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Spesso è fondamentale l’intervento di famigliari ed amici affinché la persona che ha una dipendenza problematica arrivi a farsi aiutare da un professionista.

Quello che i famigliari possono cercare di fare è agevolare il transito della persona dipendente dallo stato che gli addetti ai lavori chiamano “fase di precontemplazione” (in cui la persona non è minimamente preoccupata dei problemi derivanti da tale condizione, anzi, non sospetta neppure di avere un problema che richieda un cambiamento e quindi non è intenzionata a fare sforzi per cambiare) allo stato in cui arriva a contemplare la possibilità che sia necessario un cambiamento e che possa avere bisogno di aiuto (“fase di contemplazione”). 
Per un genitore è molto difficile riuscire a mantenere la lucidità quando, ad esempio, scopre che il proprio figlio si sta facendo del male usando droghe o sta sperperando i beni della famiglia giocando d’azzardo. Spesso si corre il rischio di utilizzare modalità di comunicazione che, invece di convincere il figlio a fare dei passi verso la ricerca di aiuto, lo portano ad arroccarsi ancora di più su posizioni di non-cambiamento.
Vi sono infatti alcune trappole, in cui è facile cadere, che possono ostacolare la comunicazione. 
​Il modo più veloce che i famigliari hanno a disposizione per portare la persona con dipendenza verso il cambiamento, è lavorare su se stessi, provando a sostituire alcuni atteggiamenti verso il proprio caro e osservando cosa succede.
Di seguito segnaliamo alcuni consigli su come relazionarsi con la persona che ha un problema di dipendenza, quando non ammette la propria situazione problematica, anzi minimizza i problemi o incolpa gli altri.​

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“Se cambi il tuo atteggiamento verso le cose, finisci per cambiare le cose.”
​
Emil Michel Cioran
​

Evitare discussioni ​

pesso si è convinti di poter ottenere un cambiamento della persona che ha una dipendenza solo se la si critica con severità. Facilmente si cade nella trappola di discutere con argomenti logici il comportamento della persona dipendente (ad esempio, mostrando le conseguenze che esso determina su di lei e sulla famiglia), come se si volesse farle aprire gli occhi, mettendola così sotto pressione per modificare la situazione nella direzione che si ritiene più giusta. In realtà, questo atteggiamento fa sì che l’interlocutore si trovi schiacciato sulla posizione del non-cambiamento e quindi costretto a difenderla pronunciando una serie di argomenti in favore del mantenimento della condizione problematica. Ogni volta che la persona con dipendenza si trova ad esprimere a parole la necessità di non cambiare se ne convince un po’ di più… Per questo motivo bisognerebbe cercare di evitare le discussioni.
Del resto, la reazione di un fumatore quando gli si fa notare la scritta “Il fumo uccide” sul pacchetto di sigarette spesso è “Ma di qualcosa bisogna pur morire!” oppure espressioni del tipo “Mio zio ha avuto un tumore da giovane ed era un salutista, è solo questione di sfortuna..”. 
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"Le persone si lasciano convincere più facilmente
dalle ragioni che esse stesse hanno scoperto
piuttosto che da quelle scaturite dalla mente di altri.”
​
​
Blaise Pascal


Manifestare empatia 

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Il clima relazionale auspicabile è quello dell’empatia. Empatia non significa consenso o approvazione sul comportamento della persona con dipendenza, ma vuol dire cercare di comprendere accuratamente le sue sensazioni, emozioni e ragioni, anche se queste non sono condivise.
Costruire una relazione empatica con persone dal comportamento problematico può essere difficile o impossibile se non si riesce ad interpretare tale comportamento come il compromesso migliore che la persona ha potuto produrre nelle condizioni in cui si trova.  Infatti, spesso la dipendenza inizia come una modalità per rifugiarsi, per non affrontare emozioni e sentimenti che creano un disagio (ad esempio, insoddisfazione, tristezza, ansia, angoscia, dolore) poichè la persona non riesce a gestirlo in altro modo.
Il concetto di non-giudizio è parte integrante dello stile empatico che contiene anche un significato di accoglienza. Accettare quindi la persona come è e nella fase in cui si trova. L’accettazione non-giudicante non è rassegnazione, ma un atteggiamento che facilita il cambiamento.
L’atteggiamento accogliente, amorevole e non-giudicante verso l’altro è più spontaneo per alcune persone. Chi è più distante da questo modo di “stare nella relazione” può comunque cercare di svilupparlo o migliorarlo anche attraverso la pratica della mindfulness. ​​


La fase di contemplazione inizia con l’irruzione della consapevolezza dei problemi causati dal comportamento di dipendenza. Emerge quindi una forte ambivalenza: da un lato vi è la consapevolezza che il problema è serio e che vi è la necessità di un cambiamento, ma dall’altro non si è ancora pronti, si è intimoriti o terrorizzati dalla prospettiva di smettere tale comportamento. In questa fase, la persona continua ad oscillare tra i due poli, quello del mantenimento dello status quo e quello del cambiamento che appare necessario, forse anche appetibile, ma certo ancora irraggiungibile, almeno per il momento (“So bene che devo smettere, ma sento che non ce la posso fare”).
Nel momento in cui inizia ad emergere nella persona con dipendenza l’idea della possibilità di  cambiare, i famigliari possono aiutarlo ad aumentare la sua disponibilità a lasciarsi aiutare da un professionista sostenendo la sua autoefficacia ed evocando affermazioni automotivanti. ​

Sostenere l’autoefficacia ​

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L’autoefficacia ha a che vedere con l’autostima, ma è un concetto più specifico. Significa fiducia nella propria capacità di attuare un comportamento prestabilito e indica in qualche modo l’energia disponibile per affrontare il cambiamento. Si  tratta  di  un  insieme  di  valutazioni  che  l’individuo compie rispetto alla propria possibilità di raggiungere un obiettivo concreto in un tempo determinato. La fonte dell’autoefficacia è essenzialmente la consapevolezza di aver dimostrato in precedenza di essere stati capaci di conseguire un obiettivo.
Strategie per stimolare l’autoefficacia sono quelle di enfatizzare la responsabilità personale dell’individuo nel processo di cambiamento, e far ricordare precedenti successi della persona o anche ciò che altri in condizioni analoghe sono stati capaci di fare. Un adeguato senso di autoefficacia è espresso da un ottimismo realista (“Posso affrontare tutte queste difficoltà”; “Ce la posso fare con il vostro aiuto”).  

Evocare affermazioni automotivanti

L’ideale sarebbe riuscire ad evocare affermazioni orientate al cambiamento da parte della stessa persona con dipendenza. Le affermazioni automotivanti sono quelle attraverso le quali l’individuo riconosce il problema, evidenzia una preoccupazione rispetto al problema, esprime la volontà di cambiare, e manifesta ottimismo rispetto al cambiamento (es. “Effettivamente è importante che smetta di fumare se non voglio avere altri problemi al cuore”). Le persone, infatti, si impegnano su ciò che loro stesse affermano come importante (Bem, 1972). Strategie per evocare questo tipo di affermazioni sono, ad esempio, portare la persona a guardare indietro e ricordare la situazione quando il problema non c’era, oppure a guardare avanti facendo ipotesi su come potrebbe essere il futuro se il problema venisse risolto.
​
​Quando la persona con dipendenza prende coscienza dell’esistenza di un problema che necessita di un cambiamento, potrebbe richiedere consigli a famigliari ed amici. E’ solo in quel momento che i consigli diventano opportuni. Se in questa fase si riesce a far sì che la persona arrivi a prendere contatto con un professionista, sarà poi insieme allo psicologo che supererà l’ambivalenza in cui si sente imprigionata.
L’equipe di Indipendenze propone interventi specifici per i famigliari perché sappiano per primi essere di aiuto, motivando chi ha il problema della dipendenza, a trovare il percorso di trattamento più adeguato.
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