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Fiducia e dipendenza: ritrovare la persona oltre gli errori e le promesse

18/9/2015

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“Ero appena uscita dal lavoro, e come sempre stavo già pensando alle mille altre cose da fare, alle scadenze prestabilite e ai calcoli fatti la notte precedente. Ancora una volta mi ero accorta che per quel mese non saremmo riusciti a mettere via neppure un euro e le mie giornate erano diventate ormai parte di un processo meccanico di salvataggio. L’ansia per le scadenze e i debiti era diventata ormai parte del mio carattere e se ci penso adesso, credo fossero passati mesi dall’ultima volta in cui mi ero permessa di esternarli con qualcuno. Ogni possibile domanda da parte degli altri era diventata come un pugno nello stomaco, come uno specchio che all’improvviso mi metteva di nuovo davanti a tutto quello che era accaduto e all’inutilità dei miei sforzi per uscirne. Tutte le bugie, le promesse mancate, i debiti, le minacce…. Stare da sola e attenermi scrupolosamente al piano che avevo studiato per risalire era diventata l’unica soluzione. Non mi ascoltavo più, non sentivo nulla, facevo – facevo – facevo, alla sera mi spegnevo e il giorno dopo ricominciavo da capo. Un robot solitario programmato per salvare la famiglia da un tracollo provocato da qualcun’altro.
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Quel giorno però un imprevisto banale mi obbligò a mettere in discussione il mio piano e per un attimo l’unica sensazione che provai fu quella di non avere una via d’uscita. L’insegnante di danza di mia figlia mi chiamò per dirmi che non si era sentita bene e che credeva fosse il caso che qualcuno la venisse a prendere. Non sapevo come fare, da lì a poco le poste sarebbero chiuse e anche il supermercato. Dovevo assolutamente pagare entro oggi perché eravamo troppo in ritardo, non ci sarebbe stato nulla per la cena e il giorno dopo era già tutto programmato! Non sapevo come fare.

Cominciai a provare una rabbia incredibile, continuavo a ripetermi “Non è giusto! Non è possibile! Perché devo fare tutto io! Perché sono così sola!”. A quel punto alzai lo sguardo e mi accorsi che accanto a dove avevo parcheggiato c’era un cartellone pubblicitario di una azienda assicurativa e nell’immagine c’era una famiglia felice composta da tre persone felici, dove il papà in centro all’immagine teneva con un braccio la figlia e con l’altro stringeva la moglie accanto a lui. Per un secondo rimasi ferma con il telefono in mano, mi resi conto di invidiare quella famiglia e mi chiesi perché non potevo avere anche io qualcuno accanto a cui chiedere una mano! Fu in quel momento che provai quella sensazione… Fu come se qualcuno mi stesse scrollando, come se avessi riaperto gli occhi dal mio mondo programmato e solitario e avessi visto quello che in realtà avevo, ma che non vedevo più da molto tempo.  Da sotto una voce mi riportò nuovamente nel presente: “Signora, c’è ancora? Pronto? Riesce a venire a prendere sua figlia?”. “Mi scusi, eccomi! Nessun problema… ora chiamo mio marito e dico a lui di venire! La ringrazio”. 
La sera, di ritorno dalle mie commissioni, apro la porta di casa e li vedo. Sono lì, lei è sul divano con la coperta sulla pancia e il suo orsetto. Lui le sta preparando il latte caldo con il miele e una punta di cannella, il suo preferito. Resto sulla porta un secondo, lo osservo, lo ricordo e lo riconosco. Senza neanche accorgermene, sorrido. 
Ora voi mi avete chiesto come ho fatto a perdonarlo, se penso che non giocherà mai più, se davvero mi fido di lui! Io a queste domande non so rispondere, forse in fondo non voglio neppure farlo perché scoprire di aver sbagliato ancora una volta mi farebbe troppo male! Quello che so, e che ho imparato a fare, è non chiedermi più nulla sul passato e osservare quello che ho ora. Lui c’è ancora, mia figlia, anzi nostra figlia, c’è ed è felice. Nonostante tutto noi ci siamo e io ho ricominciato a vederlo! Nel suo sguardo io quella sera ho visto un padre, un uomo, un marito, non più solo un giocatore. Lui sa benissimo che nessuno potrà cancellare quello che è stato e che nessuno può dimenticare la fatica e la sofferenza che abbiamo passato! Ma lui non è solo questo, in lui c’è qualcosa di più, un uomo che deve recuperare il suo ruolo, il suo spazio e tornare ad essere importante. In lui ci sono altre possibilità, e in quegli occhi, quella sera, ho visto la riconoscenza per avergli dato la possibilità di iniziare a dimostrarcelo”.
Questo racconto è il riassunto di alcune tra le testimonianze di mogli e mariti che ho avuto la fortuna di poter ascoltare durante le mie esperienze lavorative nell’ambito delle dipendenze. La forza e la voglia di cambiamento che alcune di queste persone riescono rintracciare nelle piccole cose diventa una forma di terapia quotidiana che dona speranza e forza per andare avanti.
Spesso chi intraprende un percorso per uscire da una dipendenza arriva dal terapeuta completamente solo e in balia dei sensi di colpa, consapevole di aver perso qualcosa di molto più importante dei soldi, del tempo e della salute: la fiducia di chi gli sta accanto. Si sente inutile, incapace e senza speranze. Spesso mostra rabbia nei confronti degli altri perché ritiene che non vedano i suoi sforzi per uscire dalla dipendenza e che non gli riconoscano nulla. Col tempo però questa rabbia si trasforma in tristezza, delusione e rassegnazione per un immagine di se che vede impressa negli sguardi e nelle espressioni di chi gli sta vicino e che crede di non poter mai più cambiare. Si sente invisibile e inconsistente e, quando non ricade nella dipendenza, prosegue la sua vita in una sorta di stato punitivo, intento a ripagare il danno fatto senza sentire più meritevole di ricevere qualcosa in cambio.
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In questo senso spesso la condizione emotiva del paziente da prima a dopo la dipendenza resta immutata e si ritrova a dover convivere con la stessa solitudine e inutilità che in passato l’aveva spinto ad iniziare a giocare o a fare uso di sostanze. Questo circolo vizioso tra senso di solitudine, inutilità, rabbia e colpa è una condizione tutt’altro che favorevole al fine di evitare ricadute e necessita di essere interrotto, sia nella mente del paziente che di chi gli sta vicino. Lavorare sulla faticosità del risentimento prolungato, sull’utilità della costruzione di nuove immagini di sé e sul riconoscimento delle proprie risorse attuali può essere un metodo utile per provare a recuperare un po’ di fiducia nelle possibilità future del paziente, disancorandosi da un immagine compromessa, povera e potenzialmente dannosa. 

Sulla base di tali riflessioni l’èquipe di Indipendenze offre supporto alle persone che hanno problemi di dipendenza e a chi convive con loro, affrontando il tema del recupero della fiducia come obiettivo e come percorso graduale di ricostruzione.      

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