- Quiz interattivi sui falsi e miti legati alle sostanze alcoliche nella nostra società,
- Domande aperte per far ragionare i giovani sul rischio che si incorre se si guida dopo aver bevuto,
- Far apprendere il concetto dell’unità alcolica e far conoscere la correlazione del grado alcolemico con gli effetti sull’organismo.
Volentieri ospitiamo sul nostro blog un bel progetto di prevenzione realizzato dai giovani della Croce Rossa Italiana del comitato locale di Verona. Progetto B.A.R. = Bere Alcolici Responsabilmente. I giovani della croce rossa italiana del comitato locale di Verona hanno realizzato un progetto di prevenzione alcologica denominato BAR, bere alcolici responsabilmente. Tale progetto, tutt’ora attivo in una famosa discoteca veronese, si basa sulla tecnica della peer education (giovani, agenti di cambiamento, che informano gli stessi giovani). I giovani volontari, formati sugli argomenti, espongono, grazie ad attività interattive, i rischi collegati all’abuso di alcol ed il tema importante della guida in stato di ebbrezza. obiettivo è sensibilizzare i giovani alle problematiche dell’abuso di sostanze alcoliche e renderli consapevoli che il limite di sicurezza alla guida è 0 g/l, a differenza del limite legale che ricordiamo essere di 0.5 g/l. Inoltre cercano di mostrare che il concetto di limite di sicurezza di 0.0 mg/dl di alcol non significa assolutamente 0 divertimento! Le attività affrontate sono: L’obiettivo finale è proporre la figura di BOB l’autista designato, ovvero colui che accompagna gli amici in discoteca e che, per quella sera non beve alcolici. Il comportamento di “BOB” viene valorizzato positivamente con un ingresso omaggio per la serata successiva. Se per esempio ora iniziassimo ad usare il termine ansiolitico, o se li chiamassimo direttamente con i loro nomi commerciali (Tavor, Xanax, Valium, Lexotan, En, Minias), probabilmente inizieremmo a capirci: ma facciamo un po’ di chiarezza per evitare facili fraintendimenti. Le benzodiazepine (BZD) sono una classe di farmaci che vengono generalmente prescritti per il trattamento a breve termine dell’ansia e dell’insonnia grave, soprattutto nei casi in cui l’intesità dei sintomi è tale da condizionare le abitudini della persona e le sue relazioni con gli altri. Chi ci è già passato, anche solo per un breve periodo, sa benissimo quanto sia difficile portare avanti ogni giorno la propria vita con poche ore di sonno alle spalle o convivere con una forte ansia che non dà mai pace. Infatti, dopo aver provato qualche rimedio fai-da-te, non è un’esperienza così poco frequente quella di rivolgersi al proprio medico per farsi “prescrive qualcosa” che possa risolvere questi sintomi spiacevoli. É in questi casi che, dopo aver valutato il quadro clinico e lo stato di salute, il tuo medico possa decidere di prescriverti un ansiolitico. Solitamente il trattamento dura dalle due alle cinque settimane, al quale segue una fase di scalaggio prima della completa sospensione del farmaco. Per la loro rapidità d’azione e il limitato numero di effetti collaterali, le benzodiazepine hanno avuto un elevata diffusione sin dalla loro comparsa negli anni sessanta. Un recente articolo pubblicato dalla Rivista Società Italiana di Medicina Generale mostra come questa classe di farmaci sia la più prescritta nei paesi occidentali: inoltre gli stessi autori richiamano il rapporto OSMED 2014 in cui si evidenzia come un italiano su dieci faccia uso di benzodiazepine, percentuale degli utilizzatori che sale al 25% nelle persone sopra i 65 anni. Non sono certo numeri da poco e meritano una prima considerazione:
Il trattamento medico con benzodiazepine è infatti di breve durata poiché si può sviluppare facilmente sia tolleranza (aumentato progressivo del dosaggio per avere lo stesso effetto) che dipendenza (ricorrere costantemente al farmaco per portare avanti la propria vita quotidiana). Gli autori dell’articolo sopracitato indicano come il trend dell’utilizzo prolungato ad alte dosi di questi farmaci mostri un continuo, seppure leggero, incremento nel corso degli ultimi anni. Dati che vengono confermati dallo stesso Dipartimento delle Politiche Antidroga che nell’ultima relazione annuale sottolinea inoltre l’aumento dell’uso di benzodiazepine - senza prescrizione medica e senza indicazioni da parte dei genitori - nei ragazzi di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Le ragioni di questo crescente utilizzo si possono far risalire alla facile reperibilità in casa di questi farmaci perché prescritti ad altri familiari e alla sempre maggiore possibilità di acquisto tramite internet. Notiamo quindi come sia sottile la linea di confine tra il corretto uso delle benzodiazepine e il rischio di sviluppare una dipendenza più o meno grave: infatti gli studi scientifici raccomandano l’utilizzo di questo farmaco solo per un periodo molto limitato. Diventa così sempre più necessario - come proposto da R.M. Julien in “Droghe e farmaci psicoattivi” - accompagnare la cura farmacologica con la consultazione e il supporto psicologico. Indipendenze, in collaborazione con altri servizi sul territorio, offre percorsi di supporto psicologico alla disassuefazione, al mantenimento dell'astinenza e di prevenzione della ricaduta per persone che abusano o hanno dipendenza da farmaci.
L'equipe di Indipendenze chiude questa settimana condividendo la propria esperienza presso il C.F.P San Giuseppe di Verona. Mercoledì 23 marzo 2016 le Dottoresse Diani e Bellamoli e il Dottor Simeone hanno condotto un incontro di prevenzione e informazione con i ragazzi delle classi prime, seconde e terze, approfondendo il tema delle diverse forme di dipendenza, con o senza sostanza. A partire da un primo momento di condivisione e scambio di definizioni, significati e credenze, si è proseguito per più di due ore in un interessante e vivo dibattito sulle principali caratteristiche delle diverse dipendenze. Le molte domande dei partecipanti unite alla professionalità dei conduttori, hanno permesso di approfondire i principali fattori di rischio e di mantenimento, con un focus specifico sulle conseguenze dirette e indirette, a breve e lungo termine. Come previsto, i ragazzi si sono dimostrati particolarmente interessati all'argomento e grazie ai loro interventi hanno fornito ai conduttori la possibilità di muoversi con flessibilità in un clima di apprendimento, condivisione e crescita. La prevenzione e la corretta informazione sono strategie fondamentali per arginare e ridurre l'instaurarsi di una dipendenza e, per poter dare risultati tangibili, devono essere adeguate alle caratteristiche specifiche del contesto in cui vengono applicate.
A partire da tali premesse, l'Equipe di Indipendenze mette a disposizione di Scuole, Aziende e Associazioni le proprie competenze, proponendo percorsi personalizzati di prevenzione, informazione e intervento. Sintomi e caratteristiche della DIPENDENZA AFFETTIVA "Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza, o li consideriamo conseguenze di un'infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo. Ognuno di noi è dipendente in qualche misura dagli altri, tutti noi abbiamo bisogno degli altri, di approvazione, empatia, di validazione e ammirazione, per sostenerci e per regolare la nostra autostima. La possibilità di dipendere da una persona significativa fa parte di un rapporto equilibrato e soddisfacente, se viene mantenuta una dimensione di reciprocità e di riconoscimento di sé stessi e dell’altro come persone distinte, con bisogni, aspirazioni e desideri che possono non sempre coincidere e per i quali é necessaria un’opera di mediazione. Si parla di dipendenza affettiva patologica (love addiction nella letteratura anglosassone), quando il rapporto che una persona instaura con un altro affettivamente importante é caratterizzato dalla necessità di non essere abbandonato, non essere lasciato solo a provvedere ai propri bisogni, quando un individuo, piuttosto che amare qualcuno, manifesta un estremo bisogno primario di essere amato. Il dipendente affettivo dedica completamente sé stesso all’altro e al benessere dell’altro, trascurando il proprio, come dovrebbe avvenire invece in una relazione "sana". Questi “donatori d’amore a senso unico”, nell’amore vedono la risoluzione dei propri problemi, che spesso hanno origini profonde. Il partner assume il ruolo di un salvatore, egli diventa lo scopo della loro esistenza, la sua assenza anche temporanea dà la sensazione al soggetto di non esistere (DuPont, 1998). Il sociologo Anthony Giddens (1992) è uno dei primi che parla di Love Addiction: nella dipendenza “da amore” ciò che viene sperimentato come amore diventa una droga e alcuni sintomi sono gli stessi che per le altre dipendenze:
Anche dai dati di uno studio di John Marsden del National Addiction Center di Londra, la ricerca della propria anima gemella non è così diversa da quella della dose da parte di un tossicodipendente. “L’innamoramento provoca, infatti, reazioni chimiche simili a quelle di cocaina e anfetamine”. Secondo Alexandra Katehakis, fondatrice e Direttore Clinico del Center for Healthy Sex di Los Angeles, i pazienti con dipendenza affettiva accusano sintomi comuni, primo fra tutti la PAURA. “Se mai vi è capitato di essere ossessionate da un uomo, forse vi è venuto il sospetto che alla radice della vostra ossessione non ci fosse l’amore, ma la paura; noi che amiamo in modo ossessivo siamo piene di paura: paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, o abbandonate, o annichilite. Offriamo il nostro amore con la speranza assurda che l’uomo della nostra ossessione ci protegga dalle nostre paure; invece le paure e le ossessioni si approfondiscono, Paura di cambiare che induce a ripiegarsi su se stessi e a chiudersi alle esperienze esterne per la necessità di mantenere fermi alcuni punti certi, soffocando qualsiasi desiderio o interesse personale in nome di un amore che occupa il primo posto nella propria vita. Paura di perdere l’amore, paura dell’abbandono o della separazione, paura della solitudine e della distanza, paura di mostrarsi per quello che si è, ma anche senso d’inferiorità, senso di colpa, rancore e rabbia, coinvolgimento totale nella relazione e vita sociale limitata, gelosia e possessività, ossessione per l’altro, incapacità di smettere di vedere la persona amata anche quando si è consapevoli che è distruttiva per se stessi, sentimenti di disperazione e fallimento quando si è lontani dal partner; oltre a sintomi somatici simili a tutte le dipendenze come insonnia, nausea, disturbi gastrici, fino ad arrivare a depressione e stati simili al lutto. L’amore dipendente è ossessivo. Le persone con difficoltà affettiva non riescono a prendersi cura di sé, a creare degli spazi per la propria crescita personale perché sempre prese da qualche problema del partner che richiede la loro attenzione e la loro energia. Queste personalità si percepiscono spesso come incapaci di provvedere a sé, di far fronte alle difficoltà o ai propri stati emotivi se non affiancate da un’altra persona che reputano (talvolta senza un reale riscontro nella relazione) più forte, sicura e capace. Per questo tendono ad attaccarsi agli altri in modo intenso ed eccessivo, facendo di tutto per assicurarsi l’amore dell’altro, mettendo in secondo piano i propri bisogni nella speranza di essere accettati. Queste persone sono caratterizzate anche da un pensiero del tipo: “io sono cattivo, gli altri sono buoni, mi trattano male per colpa mia, devo cercare di accattivarmeli”. Sono convinte che per essere amate devono sempre essere diligenti, amabili o perfette, sacrificarsi per l’altro per potersi meritare il suo amore. Anche quando questo vuol dire farsi male. La posizione paradossale che caratterizza la dipendenza affettiva è quindi “non posso stare con te” (per il dolore in seguito a umiliazioni, maltrattamenti, tradimenti) “né senza di te”, (per l'angoscia al solo pensiero di perderti). I can't live with or without you. Il Servizio Indipendenze propone percorsi individuali e di terapia di gruppo per emanciparsi dalle dipendenze affettive. Il 3 marzo 2016, all'interno del convegno "STOCCOLMA E ALTRE SINDROMI" alcuni professionisti di INDIPENDENZE parleranno della dipendenza affettiva nelle sue più comuni manifestazioni, tenendo sempre presente i percorsi terapeutici possibili e disponibili sul territorio e all'interno dell'Azienda Ospedaliera di Verona, per far sì che il disorientamento e la paura lascino il posto a competenze, esperienza e percorsi validati, pur nella complessità della problematica.
SCHEDA DI ISCRIZIONE ORE: 7.15 - SVEGLIA DRIIIIIIIIIIIN …Mmmmmmmm. Che sonno! Che ora è? Che giorno è? E’ mercoledì cara! Inizia il terzo giorno! Sei pronta? Sei carica? Ti ricordi cosa ci siamo dette ieri sera vero? Niente ci può fermare questa volta! Forza in piedi! Si si…..aaaaaaaahooom (sbadiglio) Ho tutto chiaro in mente… Dammi due minuti per svegliarmi e ripartiamo Io sono già perfettamente attiva! Guardami! E’ una giornata perfetta per raggiungere grandi traguardi! Se continuerai come hai fatto ieri e l’altro ieri vedrai che ci metteremo pochissimo! Siamo state bravissime! Oggi facciamo ancora meglio… Ci stai? Non è stato poi così difficile, no? - Apre timidamente un occhio stanco - Si…ti ho detto che ci sono… ora mi alzo e iniziamo la giornata. Bravissima! Ricordati: acqua tiepida con il limone, 40 gr di cereali PESATI! Uno yogurt magro e un tè verde senza zucchero… poi ci vediamo qui per gli esercizi del mattino! Carica su youtube un video di addominali da mezzora e poi dritti in ufficio! Si… ho capito. Però che male alle gambe! Che cos’è?? Ah già… gli esercizi di ieri, non avremo esagerato così tutto d’uno colpo? Ma figurati! C’è scritto su tutti i libri e le riviste: “almeno 30 minuti di attività fisica intensa al giorno”. Se lo dicono sarà vero no? Cos’è vuoi già tirare fuori scuse? E poi perchè dovrebbe valere per gli altri e non per te? Dai dai poche scuse, in piedi e partiamo! - Maria sia alza, accende il computer e si dirige verso la cucina con il cellulare in mano. Il tempo stringe ed è già di corsa. Apre il frigo e vede che sono finiti gli yogurt magri, ne è rimasto solo uno intero alla frutta. “iniziamo male!” pensa. Il cellulare si accende e arriva un messaggio delle 23.34 “Ci ho pensato molto oggi mentre preparavo le valige, hai ragione tu, forse dovremmo parlare. Tra mezzora andrò a letto perché è già tardi e domani ho l’aereo alle 7. Penserò a cosa fare, nel frattempo ti prego non cercarmi…devo riflettere. Ci sentiamo Sabato. Paolo”. Guarda l’ultima volta che era entrata su Whatsapp la sera prima: 23.22. Prende lo yogurt alla frutta, lo versa nella ciotola e senza pesarli ci versa sopra due mangiate di cereali. Guarda dritto davanti a se, il cucchiaio sale e scende ritmico dalla tazza alla ciotola e nella sua testa c’è solo un pensiero: "Io fino a sabato non resisto!” ORE 11.00 – UFFICIO - Brontolio dello stomaco- Oddio che fame! Cosa posso mangiare? - Fruga nella borsa per cercare la mela… E’ inutile che guardi. Non l’hai presa. Io non ho più parole…. Oh, cavolo! E’ vero…l’avevo messa ieri sera vicino alla bilancia per ricordarla maaaa… ah già, non ho pesato i cerali. Va beh dai ma più o meno saranno stati 40 gr no? Esatto...PIU’ O MENO… chi lo può sapere. Beh ma dopo ho fatto gli esercizi! Si, 20 minuti…. Non 30. Sei la solita approssimativa. Ma mi sono persa durante la colazione per via del messaggio e poi dovevo arrivare in ufficio! Lì ho fatti comunque, non li ho saltati!! Scuse. Vogliamo dare la colpa a Paolo? Forse è meglio se adesso ti fai una tisana e basta. Dicono che bere qualcosa di caldo dilata lo stomaco e fa passare la fame! Ok… prendo un te alle macchinette! Senza zucchero Si lo so! ORE 13.30 – PAUSA PRANZO IN MENSA Ok vediamo cosa c’è oggi…. Ho una fame pazzesca! Crema di zucca o pasta al pomodoro? Crema di zucca! Immaginavo… e di secondo? Perché non c’è del pesce? C’è sempre! Ah già… ci sono i bastoncini. E se scarto la panatura? Assolutamente no! E quell’arrosto naviga nell’olio… a questo punto prendi solo le verdure e magari ci aggiungi dei grissini. Male non fa, mangerai proteine stasera. Ci sono delle uova in frigo! - Signorina! Ha deciso? Si sta formando la fila? Cosa le do?? Ehmmmm… si scusi… crema di zucca e poi le verdure. Mi può fare un misto? - (La signora della mensa sbuffa…) Si…. Ecco a lei. Il prossimooo?? - Maria corre al tavolo da sola e imbarazzata. Si è scordata i grissini ma non vuole tornare al bancone. “Meglio così!” pensa “Oggi ho già fatto abbastanza danni…” Meglio così Maria! Qualche caloria in meno non può che farci bene! ORE 16.00 – PAUSA CAFFE’ Maria si dirige verso le macchinette con una fame incredibile e inizia a girarle la testa. Si dice che sicuramente è colpa delle ore passate al computer e della insopportabile parlantina di Giuliana, la sua compagna di ufficio. “Possibile che abbia sempre qualcosa da raccontare?? E sempre a me!! Non riesco proprio a concentrarmi quando ce l’ho vicina…” - Hey Mary! Ti ho messo sulla scrivania le copie del contratto che mi dicevi… poi dimmi se ti vanno bene! Stai andando in sala riunioni? Michela è appena tornata da Napoli e ha portato delle pastarelle pazzesche!! Non ci provare! Sei stata brava fino ad ora! Hai appena recuperato lo sgarro di stamattina… Ti ringrazio… ma in realtà sarei a dieta. Conosco bene quel tipo di dolci e so che sono buonissimi, ma non è proprio il caso… Brava!!! Non mollare. Lo sai che non te lo puoi permettere - Beh ma mica li devi mangiare tutti! Anche io sono a dieta! Ne prendiamo uno e facciamo a metà! Poi sai com’è fatta Michela… si offende! E Ti assicuro che qui così buone non le trovi! Eh lo so…sono davvero buone! E poi anche l’altra volta che le ha portate non c’ero. Dici che facciamo a metà?! Cosa stai facendo! Guarda che lei è una di quelle che non ingrassa mai… su di te sai che effetto fa! Hai idea di quanti esercizi dovrai fare? Non far finta di non sentirmi!! Sono qui! - Certo! Andiamo dai… così ti spiego anche di quei contratti…! Va bene… in fondo a pranzo ho mangiato poco! Silenzio Maria entra in sala riunioni. Sul tavolo ci sono quattro vassoi di pasticcini uno più bello dell’altro e l’unica cosa che riesce a sentire sono i brontolii della fame. Si avvicina al primo vassoio e ancora prima di riuscire a girarsi verso la collega per dividerne uno con lei viene richiamata da un collega che inizia a parlarle… Addenta il primo pezzo e pensa che non ci sia nulla di più buono. Per un momento non sente più nulla attorno a lei e il mal di testa magicamente sparisce. La sua collega è impegnata in un’altra conversazione e lei ne approfitta per provare un altro dolcetto, e poi un altro, e ancora uno… Cerca i vassoi dove ce ne sono di più e si nasconde dietro gli altri per non farsi notare. Chiede se gli altri hanno provato i vari tipi per sembrare di essere al primo assaggio e così facendo perde il conto... Finito l’incontro si offre di aiutare Michela a riordinare la sala… Sono avanzati alcuni dolcetti e Michela le propone di portarli a casa. “Io ne ho la casa piena! Fidati così buoni non li trovi a queste parti…” ORE 20.30 - CASA Ok, oggi ho fatto schifo. Non ci credo che sono durata solo due giorni… Adesso non ceno. Magari saltando il pasto torno in pari… Guardo la tv e aspetto che arrivi domani Lo sai che non basta, lo sai che non c’è nulla da fare. Con il metabolismo che hai ci vorranno come minimo quattro giorni di dieta ferrea per rientrare… tanto vale sfogarsi oggi Ma se stasera bevo solo una tisana magari evito di fare ancora più danni, no? No, non ci siamo. Credi ancora di potermi ingannare? L’unico modo è ripartire da capo, dieta ferrea ed esercizi. Lo sai anche tu. Ma con quei dolci di là come credi di poter ricominciare? Tanto vale farli fuori tutti e domani si riparte da capo. Senza scuse e senza tentazioni. ORE 23.00 – CAMERA DI MARIA Maria è a letto… da sola. Ha mal di pancia, mal di testa e la nausea. Per la mente ha mille pensieri diversi e osserva il cellulare sperando in un suo messaggio che non arriva. E’ triste. Alla televisione passa l’ennesima pubblicità di prodotti dimagranti per "bloccare la fame" e per un secondo viene riportata alla realtà della sua stanza. Guarda il calendario accanto alla porta e pensa: “Domani è giovedì, si ricomincia da capo! Forse il mio problema sono gli attacchi di fame! Se riesco a bloccarli a livello fisico sarà tutto più facile… domani passo in farmacia e mi compro uno di questi prodotti! Così sarà tutto più facile... Per il resto, è una questione di forza di volontà…non serve altro”. Parole sante Mary! Parole sante. Domani si riparte, chissà che non sia la volta buona per dimostrare che riesci a portare a termine qualcosa... Quella di Maria è una situazione simile a quella che molte donne e uomini vivono quotidianamente, e che li portano a vivere con estrema sofferenza e frustrazione il rapporto con il cibo e con il proprio corpo. Ogni giorno è una nuova battaglia e ogni occasione sociale diventa un momento di confronto con il giudizio sociale e con il propri timori. A causa di una cattiva informazione queste persone arrivano a credere che il loro sia un problema puramente fisico o di assenza di volontà, e gradualmente perdono ogni speranza nella possibilità di cambiare. A partire dal 21 Gennaio 2016 Indipendenze propone un percorso di 5 incontri teorico pratici, specifico per imparare a riconoscere e gestire i meccanismi psicologici, biologici e sociali che regolano la fame nervosa. E' inoltre possibile intraprendere un percorso individuale di psico-educazione, sostegno psicologico e accompagnamento alla dieta. Per maggiori informazioni potete contattarci al numero 3319404747 Spesso è fondamentale l’intervento di famigliari ed amici affinché la persona che ha una dipendenza problematica arrivi a farsi aiutare da un professionista. Quello che i famigliari possono cercare di fare è agevolare il transito della persona dipendente dallo stato che gli addetti ai lavori chiamano “fase di precontemplazione” (in cui la persona non è minimamente preoccupata dei problemi derivanti da tale condizione, anzi, non sospetta neppure di avere un problema che richieda un cambiamento e quindi non è intenzionata a fare sforzi per cambiare) allo stato in cui arriva a contemplare la possibilità che sia necessario un cambiamento e che possa avere bisogno di aiuto (“fase di contemplazione”). Per un genitore è molto difficile riuscire a mantenere la lucidità quando, ad esempio, scopre che il proprio figlio si sta facendo del male usando droghe o sta sperperando i beni della famiglia giocando d’azzardo. Spesso si corre il rischio di utilizzare modalità di comunicazione che, invece di convincere il figlio a fare dei passi verso la ricerca di aiuto, lo portano ad arroccarsi ancora di più su posizioni di non-cambiamento. Vi sono infatti alcune trappole, in cui è facile cadere, che possono ostacolare la comunicazione. Il modo più veloce che i famigliari hanno a disposizione per portare la persona con dipendenza verso il cambiamento, è lavorare su se stessi, provando a sostituire alcuni atteggiamenti verso il proprio caro e osservando cosa succede. Di seguito segnaliamo alcuni consigli su come relazionarsi con la persona che ha un problema di dipendenza, quando non ammette la propria situazione problematica, anzi minimizza i problemi o incolpa gli altri. Evitare discussioni pesso si è convinti di poter ottenere un cambiamento della persona che ha una dipendenza solo se la si critica con severità. Facilmente si cade nella trappola di discutere con argomenti logici il comportamento della persona dipendente (ad esempio, mostrando le conseguenze che esso determina su di lei e sulla famiglia), come se si volesse farle aprire gli occhi, mettendola così sotto pressione per modificare la situazione nella direzione che si ritiene più giusta. In realtà, questo atteggiamento fa sì che l’interlocutore si trovi schiacciato sulla posizione del non-cambiamento e quindi costretto a difenderla pronunciando una serie di argomenti in favore del mantenimento della condizione problematica. Ogni volta che la persona con dipendenza si trova ad esprimere a parole la necessità di non cambiare se ne convince un po’ di più… Per questo motivo bisognerebbe cercare di evitare le discussioni. Del resto, la reazione di un fumatore quando gli si fa notare la scritta “Il fumo uccide” sul pacchetto di sigarette spesso è “Ma di qualcosa bisogna pur morire!” oppure espressioni del tipo “Mio zio ha avuto un tumore da giovane ed era un salutista, è solo questione di sfortuna..”. Manifestare empatiaIl clima relazionale auspicabile è quello dell’empatia. Empatia non significa consenso o approvazione sul comportamento della persona con dipendenza, ma vuol dire cercare di comprendere accuratamente le sue sensazioni, emozioni e ragioni, anche se queste non sono condivise. Costruire una relazione empatica con persone dal comportamento problematico può essere difficile o impossibile se non si riesce ad interpretare tale comportamento come il compromesso migliore che la persona ha potuto produrre nelle condizioni in cui si trova. Infatti, spesso la dipendenza inizia come una modalità per rifugiarsi, per non affrontare emozioni e sentimenti che creano un disagio (ad esempio, insoddisfazione, tristezza, ansia, angoscia, dolore) poichè la persona non riesce a gestirlo in altro modo. Il concetto di non-giudizio è parte integrante dello stile empatico che contiene anche un significato di accoglienza. Accettare quindi la persona come è e nella fase in cui si trova. L’accettazione non-giudicante non è rassegnazione, ma un atteggiamento che facilita il cambiamento. L’atteggiamento accogliente, amorevole e non-giudicante verso l’altro è più spontaneo per alcune persone. Chi è più distante da questo modo di “stare nella relazione” può comunque cercare di svilupparlo o migliorarlo anche attraverso la pratica della mindfulness. La fase di contemplazione inizia con l’irruzione della consapevolezza dei problemi causati dal comportamento di dipendenza. Emerge quindi una forte ambivalenza: da un lato vi è la consapevolezza che il problema è serio e che vi è la necessità di un cambiamento, ma dall’altro non si è ancora pronti, si è intimoriti o terrorizzati dalla prospettiva di smettere tale comportamento. In questa fase, la persona continua ad oscillare tra i due poli, quello del mantenimento dello status quo e quello del cambiamento che appare necessario, forse anche appetibile, ma certo ancora irraggiungibile, almeno per il momento (“So bene che devo smettere, ma sento che non ce la posso fare”). Nel momento in cui inizia ad emergere nella persona con dipendenza l’idea della possibilità di cambiare, i famigliari possono aiutarlo ad aumentare la sua disponibilità a lasciarsi aiutare da un professionista sostenendo la sua autoefficacia ed evocando affermazioni automotivanti. Sostenere l’autoefficacia L’autoefficacia ha a che vedere con l’autostima, ma è un concetto più specifico. Significa fiducia nella propria capacità di attuare un comportamento prestabilito e indica in qualche modo l’energia disponibile per affrontare il cambiamento. Si tratta di un insieme di valutazioni che l’individuo compie rispetto alla propria possibilità di raggiungere un obiettivo concreto in un tempo determinato. La fonte dell’autoefficacia è essenzialmente la consapevolezza di aver dimostrato in precedenza di essere stati capaci di conseguire un obiettivo. Strategie per stimolare l’autoefficacia sono quelle di enfatizzare la responsabilità personale dell’individuo nel processo di cambiamento, e far ricordare precedenti successi della persona o anche ciò che altri in condizioni analoghe sono stati capaci di fare. Un adeguato senso di autoefficacia è espresso da un ottimismo realista (“Posso affrontare tutte queste difficoltà”; “Ce la posso fare con il vostro aiuto”). Evocare affermazioni automotivantiL’ideale sarebbe riuscire ad evocare affermazioni orientate al cambiamento da parte della stessa persona con dipendenza. Le affermazioni automotivanti sono quelle attraverso le quali l’individuo riconosce il problema, evidenzia una preoccupazione rispetto al problema, esprime la volontà di cambiare, e manifesta ottimismo rispetto al cambiamento (es. “Effettivamente è importante che smetta di fumare se non voglio avere altri problemi al cuore”). Le persone, infatti, si impegnano su ciò che loro stesse affermano come importante (Bem, 1972). Strategie per evocare questo tipo di affermazioni sono, ad esempio, portare la persona a guardare indietro e ricordare la situazione quando il problema non c’era, oppure a guardare avanti facendo ipotesi su come potrebbe essere il futuro se il problema venisse risolto. Quando la persona con dipendenza prende coscienza dell’esistenza di un problema che necessita di un cambiamento, potrebbe richiedere consigli a famigliari ed amici. E’ solo in quel momento che i consigli diventano opportuni. Se in questa fase si riesce a far sì che la persona arrivi a prendere contatto con un professionista, sarà poi insieme allo psicologo che supererà l’ambivalenza in cui si sente imprigionata.
L’equipe di Indipendenze propone interventi specifici per i famigliari perché sappiano per primi essere di aiuto, motivando chi ha il problema della dipendenza, a trovare il percorso di trattamento più adeguato.
Pubblichiamo volentieri la mail che ci ha inviato Maria Luisa, che un po’ di mesi fa è venuta al Centro Indipendenze di Verona per smettere di fumare. Non solo perché il suo grazie ci rende felici e ci motiva ad andare avanti per questa strada. Ma anche perché il suo racconto, pieno di sensazioni di benessere e di “avercela fatta” (ritrovata autoefficacia), possa contagiare di entusiasmo qualcun altro che, in questo momento, sta pensando di fare sua questa meravigliosa scelta. “Finalmente mi sono messa a scrivere... Fino ad adesso tante emozioni sono state custodite dentro di me ma ora è il momento di condividere questa meraviglia che mi è capitata. Il giorno fatidico è il 13 maggio 2015...(più o meno 6 mesi fa...wow); questo e' il giorno che poi ho scoperto essere anche quello festeggiato per la liberazione dalla schiavitù ed è esattamente il giorno in cui ho smesso di fumare e questa volta per sempre !!! Avevo provato varie volte, una addirittura per quasi due anni ma non sentivo essere quella definitiva, poi altre numerose volte nelle quali smettevo per qualche mese o per qualche giorno ma niente...poi ricadevo nella trappola...la stessa trappola di sempre. Per fortuna, ringrazio Dio, una mia amica sapendo del mio desiderio e dei vari tentativi falliti mi ha detto: "Conosco una persona che fa il caso tuo!" ...e quanto aveva ragione !!!!! Lo psicologo del Centro Indipendenze, il suo metodo, la mia volontà e l'amore per questa scelta, che ho sempre sentito quella giusta, hanno fatto si che non solo ho smesso da un giorno all'altro passando da 10 a 0 (in passato erano 20 e più) ma anche ho trovato tutto questo molto facile e bello!!! Talmente bello che come tutte le cose cosi belle sono anche per me difficili da spiegare...la cosa più bella è stato il riacquistare un senso di sicurezza in me stessa e nella vita..avevo tolto l'illusione; illusione che dà la sigaretta di darti forza e coraggio quando in realtà ti AMMAZZA Si questo devo dire è il valore più bello che poi ho guadagnato.. Poi comunque ci sono state le passeggiate all'aria aperta, il riscoprire i profumi e il fiato, le corsette che finalmente riuscivo a permettermi, la serenità in generale nella vita, e il pensiero positivo che molto più spontaneamente accompagna le mie giornate, l'ansia e la paura per la mia salute che ora non ho più, la libertà di godermi la vita senza appoggiarmi ad una cartina con dentro sostanze cancerogene...ect Tutto questo e molto altro ancora... Devo dire che queste cose per la salute cmq le avevo sempre sapute, ma prima era come se vivessi in una nube che rendeva tutto confuso e che mi faceva credere che senza la sigaretta non ce l avrei fatta LA VERITÀ E CHE NON SOLO CE LA STO FACENDO MA STO ANCHE 10000000 VOLTE MEGLIO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! AUGURO A TUTTI DI VIVERE QUESTA SPLENDIDA ESPERIENZA!!!!!!!!!!!!!!!!!!” Maria Luisa M. L’etimologia del termine Hikikomori (da hiku "tirare" e komoru "ritirarsi") rimanda ad uno stato di isolamento, di confinamento e viene adottato in Giappone a partire dagli anni Ottanta per indicare quelle persone che scelgono di ritirarsi dalla vita sociale. In origine il fenomeno sembra riguardare adolescenti che rifiutano di lasciare la propria abitazione per più di sei mesi con l’obiettivo di opporsi ad una cultura tradizionale giapponese molto richiedente. E’ stato identificato come “disturbo” nel momento in cui questo stile di vita ha iniziato ad essere condiviso da più giovani, interessando l’1% della popolazione Giapponese (ossia circa un milione di persone).
I contatti in rete hanno invece il duplice vantaggio di non farci sentire soli, evitandoci al tempo stesso tutte le difficoltà dell’incontro diretto. Siamo dunque di fronte ad un “fenomeno” che, per quanto nuovo, nel corso degli anni ha già incontrato alcuni cambiamenti. Questa considerazione esorta a non accontentarci di quello che già “sappiamo” poiché la storia di ogni ragazzo può dirci qualcosa in più rispetto al suo “Hikikomori”. E’ un invito a non fermarci all’etichetta, ma piuttosto ad ascoltare la nostra curiosità e il nostro interesse nei confronti dell’altro per raggiungere una conoscenza più profonda della persona. L’équipe di Indipendenze condivide il presupposto che sia fondamentale comprendere quale sofferenza si celi dietro il disagio manifestato dal ragazzo al fine di trovare per lui e con lui una nuova strada da percorrere. Come ci spieghiamo la scelta dell’isolamento quale soluzione eletta ad esprimere il proprio stato di impasse? Cosa vuole comunicare il ragazzo attraverso questa scelta? In Italia le prime diagnosi di Hikikomori risalgono al 2007, oggi le stime parlano di 20/30 mila casi. I ragazzini interessati sembrano appunto accomunati da un’estrema dedizione per il computer che in alcuni casi si esprime in una difficoltà ad uscire dalla propria stanza anche solo per lavarsi o per mangiare. In situazioni simili, il rischio è che i genitori diventino inconsapevolmente complici, facendo trovare ad esempio i pasti all’entrata della camera, purché il figlio non si trascuri fino ad arrivare al digiuno. Il “nemico computer” tanto dannoso può diventare tuttavia anche una risorsa terapeutica se lo pensiamo come un’occasione per mettersi in contatto con questi ragazzi che chiudono il mondo fuori dalla propria stanza ma ci fanno vedere che una feritoia, per quanto piccola, rimane. Per concludere vorrei lasciarvi con una domanda: siamo proprio sicuri si tratti dello stesso fenomeno Giapponese che oggi sta “dilagando” anche in Europa? Alcuni studi condotti parlano di un sentimento di vergogna che sembra accomunare questi giovani, vergogna dovuta ad una difficoltà nel rispondere alle aspettative sociali e dunque ad una distanza osservata tra la realtà idealizzata e quella osservata, tra quello che si è e quello che si vorrebbe diventare. Attribuire agli altri aspettative nei propri confronti e nutrire un bisogno di rispondervi con la sensazione di non riuscirvi è un tema caldo nel mondo giovanile e, per questi ragazzi, sembra diventare motivo di disagio. Credo però che tenere in mente la mia domanda, volutamente un po’ provocatoria, possa aiutare a spingersi oltre le generalizzazioni e gli elementi di comunanza osservati per esplorare quegli aspetti che, nel fare la differenza, ci avvicinano in modo unico alla sofferenza della persona.
“Ero appena uscita dal lavoro, e come sempre stavo già pensando alle mille altre cose da fare, alle scadenze prestabilite e ai calcoli fatti la notte precedente. Ancora una volta mi ero accorta che per quel mese non saremmo riusciti a mettere via neppure un euro e le mie giornate erano diventate ormai parte di un processo meccanico di salvataggio. L’ansia per le scadenze e i debiti era diventata ormai parte del mio carattere e se ci penso adesso, credo fossero passati mesi dall’ultima volta in cui mi ero permessa di esternarli con qualcuno. Ogni possibile domanda da parte degli altri era diventata come un pugno nello stomaco, come uno specchio che all’improvviso mi metteva di nuovo davanti a tutto quello che era accaduto e all’inutilità dei miei sforzi per uscirne. Tutte le bugie, le promesse mancate, i debiti, le minacce…. Stare da sola e attenermi scrupolosamente al piano che avevo studiato per risalire era diventata l’unica soluzione. Non mi ascoltavo più, non sentivo nulla, facevo – facevo – facevo, alla sera mi spegnevo e il giorno dopo ricominciavo da capo. Un robot solitario programmato per salvare la famiglia da un tracollo provocato da qualcun’altro. Quel giorno però un imprevisto banale mi obbligò a mettere in discussione il mio piano e per un attimo l’unica sensazione che provai fu quella di non avere una via d’uscita. L’insegnante di danza di mia figlia mi chiamò per dirmi che non si era sentita bene e che credeva fosse il caso che qualcuno la venisse a prendere. Non sapevo come fare, da lì a poco le poste sarebbero chiuse e anche il supermercato. Dovevo assolutamente pagare entro oggi perché eravamo troppo in ritardo, non ci sarebbe stato nulla per la cena e il giorno dopo era già tutto programmato! Non sapevo come fare.
Ora voi mi avete chiesto come ho fatto a perdonarlo, se penso che non giocherà mai più, se davvero mi fido di lui! Io a queste domande non so rispondere, forse in fondo non voglio neppure farlo perché scoprire di aver sbagliato ancora una volta mi farebbe troppo male! Quello che so, e che ho imparato a fare, è non chiedermi più nulla sul passato e osservare quello che ho ora. Lui c’è ancora, mia figlia, anzi nostra figlia, c’è ed è felice. Nonostante tutto noi ci siamo e io ho ricominciato a vederlo! Nel suo sguardo io quella sera ho visto un padre, un uomo, un marito, non più solo un giocatore. Lui sa benissimo che nessuno potrà cancellare quello che è stato e che nessuno può dimenticare la fatica e la sofferenza che abbiamo passato! Ma lui non è solo questo, in lui c’è qualcosa di più, un uomo che deve recuperare il suo ruolo, il suo spazio e tornare ad essere importante. In lui ci sono altre possibilità, e in quegli occhi, quella sera, ho visto la riconoscenza per avergli dato la possibilità di iniziare a dimostrarcelo”. Questo racconto è il riassunto di alcune tra le testimonianze di mogli e mariti che ho avuto la fortuna di poter ascoltare durante le mie esperienze lavorative nell’ambito delle dipendenze. La forza e la voglia di cambiamento che alcune di queste persone riescono rintracciare nelle piccole cose diventa una forma di terapia quotidiana che dona speranza e forza per andare avanti. Spesso chi intraprende un percorso per uscire da una dipendenza arriva dal terapeuta completamente solo e in balia dei sensi di colpa, consapevole di aver perso qualcosa di molto più importante dei soldi, del tempo e della salute: la fiducia di chi gli sta accanto. Si sente inutile, incapace e senza speranze. Spesso mostra rabbia nei confronti degli altri perché ritiene che non vedano i suoi sforzi per uscire dalla dipendenza e che non gli riconoscano nulla. Col tempo però questa rabbia si trasforma in tristezza, delusione e rassegnazione per un immagine di se che vede impressa negli sguardi e nelle espressioni di chi gli sta vicino e che crede di non poter mai più cambiare. Si sente invisibile e inconsistente e, quando non ricade nella dipendenza, prosegue la sua vita in una sorta di stato punitivo, intento a ripagare il danno fatto senza sentire più meritevole di ricevere qualcosa in cambio. In questo senso spesso la condizione emotiva del paziente da prima a dopo la dipendenza resta immutata e si ritrova a dover convivere con la stessa solitudine e inutilità che in passato l’aveva spinto ad iniziare a giocare o a fare uso di sostanze. Questo circolo vizioso tra senso di solitudine, inutilità, rabbia e colpa è una condizione tutt’altro che favorevole al fine di evitare ricadute e necessita di essere interrotto, sia nella mente del paziente che di chi gli sta vicino. Lavorare sulla faticosità del risentimento prolungato, sull’utilità della costruzione di nuove immagini di sé e sul riconoscimento delle proprie risorse attuali può essere un metodo utile per provare a recuperare un po’ di fiducia nelle possibilità future del paziente, disancorandosi da un immagine compromessa, povera e potenzialmente dannosa. Sulla base di tali riflessioni l’èquipe di Indipendenze offre supporto alle persone che hanno problemi di dipendenza e a chi convive con loro, affrontando il tema del recupero della fiducia come obiettivo e come percorso graduale di ricostruzione.
La maggior parte dei ricercatori non è stata in grado di isolare definitivamente gli effetti di una specifica droga anche a causa del frequente fenomeno del policonsumo. Secondo un recente studio dell’Università di Amsterdam, in persone con dipendenza da alcol, cannabis, cocaina, metanfetamina o oppiacei avviene generalmente un parziale recupero spontaneo di alcune funzioni cognitive in seguito all'astinenza protratta dalle sostanze. Per spiegare questo fenomeno si fa riferimento al concetto di plasticità cerebrale, ovvero all'idea che l’organizzazione del sistema nervoso non sia “fissata” alla nascita, ma sia passibile di modificazioni. La plasticità del sistema nervoso garantisce la capacità di adattamento strutturale e funzionale, dopo lesioni di varia natura, durante tutto l’arco della vita.
L’équipe di Indipendenze propone percorsi individualizzati di training neuropsicologico specificatamente rivolti a persone con storia di dipendenza. Il miglioramento del funzionamento cognitivo avrà un impatto positivo sulla qualità della vita e nel percorso di astensione dall’uso di sostanze.
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TeamSiamo psicologi e psicoterapeuti con esperienza nel settore delle dipendenze, con la passione per lo studio, l'approfondimento e il trattamento di questo fenomeno. Categorie
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